Il tempo è tiranno e bla bla bla, mea culpa, sono in un ritardo mostruoso nella recensione di questo disco e chiedo scusa a chi di dovere. La cosa fantastica è che sono in ritardo nella pubblicazione non perché non ho avuto tempo di ascoltare “Babylon” o fossi svogliato, ma perché da quando mi è arrivato non c’é stato momento della giornata che non lo tenessi fisso a rotazione nel lettore, robe da demenza senile, lo so, ma i Nut mi hanno letteralmente tramortito e catturato, un po’ come quelli che dicono che sono stati rapiti dagli alieni, tanto per intenderci. L’album è un collage di 7 brani lisergici in cui ben si fondono post rock, schegge punk e psichedelia che rimanda in direttissima ai Pink Floyd del primissimo periodo. Il songwriting è qualcosa di dilatato oltre misura in cui, dando per scontati i riferimenti appena citati, trovano spazio accenni progressive rock, momenti di grande dark sound a tinte ambient e qualche vago accenno ad un certo metal più minimale e glaciale. Insomma, i Nut hanno tenuto fede al loro moniker che richiama una divinità egizia ed hanno inciso qualcosa di surreale e mistico, un prodotto unico ed inarrivabile che non potrà mancare nelle preferenze di chi cerca anche qualcosa in più di due accordi: immensi… (Aldo Luigi Mancusi)

http://brutalcrush.com/2014/01/08/ci-sono-dischi-che-ti-lasciano-tramortito-per-giorni-nut-babylon/

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“Back to Babylon”: un invito inquieto ma suadente, un richiamo pericoloso ma irresistibile, ripetuto su ossessivi beat di batteria elettronica, accompagnato da sbuffi e da vocalizzi che vanno a comporre un solenne mantra. È questo particolare tappeto di suoni e voci, dispiegati in “The Return”, che svela la vera anima del secondo album dei nostrani Nut (che non sta per “nocciola”, ma per la divinità egizia incaricata di partorire il sole al mattino e di rimangiarlo ogni sera), dopo che i più serrati (e anche più canonici) otto minuti dell’opener “Whisper” ne fanno da vetrina alle caratteristiche stilistiche, un po’ A Perfect Circle per le atmosfere, un po’ Russian Circles per le circonvoluzioni e i manti di ritardi che soffocano le sei corde.
Un viaggio verso “Babylon“, culla delle civiltà e ardita metafora di conflitti eterni, punto di partenza per la narrazione di drammi interiori, ricerche mistiche, ritorni alle origini finalizzati a ritrovare se stessi. Stati d’animo contrastanti, atmosfere opprimenti e vivide emozioni animano il lento ma inesorabile crescendo, lambito dagli archi, e le urla di terrore di “Chameleon” (con quell’intro che ricorda da vicino “Dare You” dei Leprous), la struggente “Daimon” e la sua lunga, semi-apocalittica coda strumentale, la delicata sospensione della brevissima “Δ”.
Una produzione che ha l’acre retrogusto dell’amatorialità (la batteria si impasta, i delay si sgranano) e una prestazione al microfono in alcuni frangenti piuttosto barcollante (soprattutto nei momenti più intensi della conclusiva “Addiction”, o in alcuni falsetti su “Hybris”) rovinano soltanto parzialmente un’esperienza che ci sentiamo comunque di consigliare. Nel complesso, “Babylon” è un album solido e sfaccettato, che ha l’innegabile pregio di caricare di pathos ogni nota e di tenere sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore, cosa poi non così scontata in un mondo alt-progressive-post che troppo spesso si bea e si compiace della sua inutile pedanteria e inconcludenza.

Recensione di Riccardo Coppola – Pubblicata in data: 08/01/14

http://www.spaziorock.it/recensione.php?&id=nut_babylon_2014